La formulazione delle norme riguardo alla sospensione della patente, da parte del Prefetto, per il conducente positivo all’alcoltest non è chiara. E può provocare disparità di trattamento.
Né risulta evidente che il Prefetto possa sospenderla solo se il tasso di alcol risulti superiore a 1,5 grammi/litro.
L’articolo 186 del Codice della strada prevede sanzioni amministrative (sospensione patente) e penali (arresto e ammenda), crescenti in base al tasso di alcol rilevato.
La sanzione più temuta è la sospensione della patente,
che sopra un tasso di 0,8 g/l
è qualificata come accessoria a quella penale.
Ma il processo arriva dopo mesi o anni e, con la possibilità del lavoro di pubblica utilità, il periodo di sospensione della patente si dimezza.
In alcuni casi, il Prefetto dispone la sospensione in via cautelare - nell’immediatezza dell’alcoltest -
e il conducente rimane a lungo a piedi.
Ma, l’articolo 186 prevede che la sospensione possa essere applicata solo dal giudice penale, dopo l’accertamento del reato.
Nella prassi, quando il conducente risulta positivo al test, gli viene immediatamente ritirata la patente.
Poi, il Prefetto, nei giorni successivi, dispone la sospensione applicando gli scaglioni previsti dall’articolo 186.
Questa interpretazione si fonda sull’articolo 223 del Codice della Strada, che prevede la possibilità di ritiro della patente immediato da parte delle Forze dell’Ordine in presenza di un’ipotesi di reato.
Ma ci sarebbe contrasto con il comma 9 dell’articolo 186,
secondo il quale il Prefetto può disporre cautelarmente la sospensione solo se il conducente ha un tasso superiore a 1,5 g/l.
Essendo una misura cautelare, deve cessare dopo la visita medica prevista dall’articolo 119 del Codice, se l’interessato viene giudicato idoneo.
La Cassazione, con la sentenza n. 21447/2010 della Seconda sezione civile, ha avallato tale interpretazione perché, in virtù del principio di specialità, l’articolo 186, comma 9, configurerebbe la deroga ai casi di sospensione previsti dall’articolo 223.
Poi c’è stata l’ordinanza n. 18342/17, con la quale la Sesta sezione civile della Cassazione ha stabilito che non ci sia rapporto tra le due norme.
Un caos da cui è necessario uscire quanto prima.