GIORNO DELLA MEMORIA
di Edith Bruck
(La nave di Teseo, 2023)
“Un’impacciata studentessa rivolgendomi una domanda mi chiamò ‘Signora Auschwitz’. Luogo che abitava il mio corpo e che mi sentivo anche addosso, come una camicia di forza sempre più stretta, che negli ultimi due anni mi stava letteralmente soffocando, senza che fossi capace di liberarmene.” Ha inizio così il viaggio negli oscuri tormenti dell’anima di una “sopravvissuta”, destinata a dibattersi tra i lacci di una memoria cui non si scappa e il desiderio di liberarsi del peso insopportabile di un passato che la inchioda nel ruolo di “testimone”. Obbligata a rendere conto di un orrore che non si lascia raccontare e rinnova il sentimento di una perdita irreparabile, la “sopravvissuta” non può andare “oltre” e ritrovare una serena normalità, è costretta ogni volta a ricominciare da capo. Eppure al destino non si sfugge e “il dono della parola” è anche il suo eterno tormento. Il dovere di non dimenticare si capovolge nella condanna a ricordare e soffrire e il desiderio di fuga riaccende un insopprimibile senso di colpa. Come se il silenzio sottintendesse un vergognoso tradimento. Un racconto sul dolore della memoria, sulla distanza che lenisce, sull’indifferenza degli altri, sulla disperazione di fronte all’incredulità, sull’eroismo necessario per raccontare l’orrore che si è vissuto. “Chi ha Auschwitz come coinquilino devastatore dentro di sé, scrivendone e parlandone non lo partorirà mai.”
di Lia Levi
(E/O, 2023)
Era un sabato, pioveva, nella notte si erano sentiti degli spari nel quartiere ebraico di Roma. Meglio non uscire, aspettare di capire cos’era successo. È stato così che in quel 16 ottobre del 1943 più di mille ebrei sono caduti nella rete della spietata razzia per mano dei soldati tedeschi. Sentir parlare di mille persone strappate con violenza dalla loro casa e destinate a un’ignota sorte è fattore di grande sofferenza ma non è sufficiente. Per forza di cose, non può che essere vissuto come in un unico corpo di dolore. Le singole persone con le loro singole vite non trovano spazio per affiorare. Poveri o ricchi, bambini, giovani, vecchi, coraggiosi o apatici, preparati o sprovveduti, sono questi, uno per uno, a formare le migliaia di esseri umani rimasti vittime di quel “male assoluto”. E forse, oltre all’incontro con i pochi magnifici testimoni sopravvissuti, è la letteratura, insieme alle altre forme creative, la sola in grado di carpire queste diversificazioni. Ecco il motivo per cui la casa editrice E/O nell’ottantesimo anniversario della razzia tedesca del ghetto di Roma ha preso l’iniziativa, come simbolo di partecipazione, di enucleare dai romanzi della scrittrice- testimone Lia Levi quei fermo immagine dove il Sedici Ottobre compare nella sua centralità. Giulio lo scrittore, Lucilla la malata, Ferruccio e Colomba gli innamorati, Elisa la cameriera, Corrado e Graziano gli adolescenti ribelli, Corinna la fragile, possono in qualche modo aiutarci a entrare in sintonia con quella somma di vite che ci gridano “io sono esistito!
di Sacha Naspini
(E/O, 2023)
Maremma toscana, novembre ’43. Le Case è un borgo lontano da tutto. Vista da lì, anche la guerra ha un sapore diverso; perlopiù attesa, preghiere, povertà. Inoltre si preannuncia un inverno feroce... Dopo la diramazione della circolare che ordina l’arresto degli ebrei, ecco la notizia: il seminario estivo del vescovo è diventato un campo di concentramento. René è il ciabattino del paese. Tutti lo chiamano Settebello, nomignolo che si è tirato addosso in tenera età, dopo aver lasciato tre dita sul tornio. Oggi ha cinquant’anni. Schivo, solitario, taciturno. Niente famiglia. Ma c’è Anna, l’amica di sempre, che forse avrebbe potuto essere qualcosa di più... René non ha mai avuto il coraggio di dichiararsi. In realtà, non ha mai avuto il coraggio di fare niente. Le sue giornate sono sempre uguali: casa e lavoro. Rigare dritto. Anna ha un figlio, Edoardo, tutti lo credono al fronte. Un giorno viene catturato dalla Wehrmacht con un manipolo di partigiani e fucilato sul posto. La donna è fuori di sé dal dolore, adesso ha un solo scopo: continuare la rivoluzione. Infatti una sera sparisce. Lascia a René un biglietto, poche istruzioni. Ma ben presto trapela l’ennesima voce: un altro gruppo di ribelli è caduto in un’imboscata. Li hanno rinchiusi là, nella villa del vescovo. Tra i prigionieri pare che ci sia perfino una donna... Settebello non può più restare a guardare.
di Gianni Solla
(Einaudi, 2023)
Tora e Piccilli (a nord di Caserta), settembre 1942. Davide trascorre le giornate, a volte anche la notte, coi maiali ai quali fa la guardia: li conosce così bene da chiamarli per nome. Zoppica dalla nascita, e per questo è deriso dai coetanei e maltrattato dal padre. Solo Teresa, che lavora nella corderia di famiglia e passa tutto il tempo libero a leggere, ha il coraggio di prendere le sue difese. Davide non riesce a immaginare altra vita che quella a Tora. Teresa invece non fa che ripetere che un giorno se ne andrà lontano, e Davide sa che dice la verità. L'arrivo di trentasei ebrei di Napoli, inviati nel paesino dalle autorità fasciste, cambierà per sempre le loro vite. Nicolas, con la sua bellezza inquieta, si porta dietro un mondo sconosciuto e scombussola le loro giornate. Davide comincia a frequentare di nascosto le lezioni del padre di Nicolas, che ha messo su una scuola clandestina. E così l'analfabeta figlio di un fascista impara a leggere e scrivere grazie a un ebreo. Davide, Teresa e Nicolas esplorano insieme la campagna intorno al paese, fino alle Ciampate del Diavolo (la credenza popolare dice che sul versante del vulcano spento vi siano impresse le impronte del maligno), ma anche il mondo inespresso dei loro sentimenti. Il fantasma di Nicolas accompagnerà Davide negli anni a venire, a Napoli dopo la guerra. Quando lavorerà duramente in fabbrica, quando comincerà per caso a frequentare una compagnia teatrale, quando – ormai uomo, un altro uomo – calcherà il palco come attore acclamato. Sarà proprio Nicolas, vivo eppure così simile a un fantasma, a ricondurlo a Tora, là dove tutto è iniziato.
di Hannah Arendt
(Feltrinelli, 2022)
Otto Adolf Eichmann, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo in aereo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, "in concorso con altri", crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l'umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista, in particolare durante la Seconda guerra mondiale. Hannah Arendt va a Gerusalemme come inviata del "New Yorker". Assiste al dibattimento in aula e negli articoli scritti per il giornale sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro al caso Eichmann. Ne nasce un libro scomodo: pone le domande che non avremmo mai voluto porci, dà risposte che non hanno la rassicurante certezza di un facile manicheismo. Il Male che Eichmann incarna appare alla Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la "grandezza" dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano.
di Anne Berest
(E/O, 2022)
Nel 2003 la madre di Anne Berest riceve una strana cartolina anonima sulla quale sono scritti soltanto quattro nomi, Ephraïm, Emma, Noémie e Jacques, ovvero i nonni e gli zii morti ad Auschwitz. Lì per lì pensa a uno scherzo di cattivo gusto, la mette in un cassetto e se la dimentica. Quasi vent'anni dopo, però, Anne Berest decide di scoprire chi l'abbia mandata. È l'inizio di un'indagine a ritroso nel tempo in cui Anne ricostruisce la storia della sua famiglia, ebrei russi approdati a Parigi dopo una rocambolesca fuga di mille chilometri per arrivare in Lettonia, dopo l'attraversamento di Polonia e Romania per andare a Costanza e imbarcarsi per la Palestina, e dopo il viaggio che dalla Palestina li porta in Francia nel 1929. Dieci anni di pace prima che la Francia sia invasa dalla furia nazista e la persecuzione degli ebrei diventi un incubo che avrà per quella famiglia un tragico epilogo. L'unica superstite è Myriam, la nonna di Anne, che ha sposato il figlio del pittore Francis Picabia e affronta gli anni dell'occupazione tedesca nascondendosi, servendosi di documenti falsi, varcando frontiere nel doppio fondo di un'automobile, militando nella Resistenza e rifugiandosi su uno sperduto altopiano della Provenza in cui si trova a convivere con il marito e con quello che sarà il secondo marito, e dove la lotta partigiana è organizzata dallo scrittore René Char. Alla fine, Anne scoprirà chi ha mandato la cartolina, ma la cosa non è importante quanto il risultato delle sue ricerche, che la porterà a capire cosa abbia significato essere ebrei durante il Novecento e cosa significhi oggi.
a cura di Karen Taieb
(UTET, 2022)
«Immagino, mia cara Yvonne, che il tuo naso e la tua gola stiano meglio. Io sto bene», scrive Sylvain Bloch in una lettera vidimata ufficialmente dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Sarà l'unica che invierà. Yvonne gli risponderà trentadue volte senza ottenere mai risposta. In pochi lo sanno, ma tra il 1942 e il 1945 fu attiva la Brief-Aktion, un sistema ufficiale di corrispondenza tra circa tremila ebrei francesi deportati ad Auschwitz e le loro famiglie. Cartoline brevi, che in un'Europa segnata dalla guerra riuscivano incredibilmente ad arrivare a destinazione, rappresentando spesso per chi era rimasto o era riuscito a nascondersi l'unica occasione di contatto con i propri cari. La Brief-Aktion è un capitolo della Shoah poco noto ma sorprendente, e a più di settant'anni dalla liberazione dei campi queste testimonianze aiutano a far luce su zone ancora inesplorate della macchina propagandistica nazista. Strani messaggi di speranza scritti sotto costrizione, obbligatoriamente in tedesco e vagliati dalla censura, utili forse a rassicurare il mondo sulla clemenza dei campi di lavoro, o forse a stanare altri ebrei da deportare. E infatti i prigionieri si abituavano a un linguaggio cifrato, a complesse macchinazioni per recapitare queste lettere a casa di amici così da non mettere in pericolo la propria famiglia. Non c'erano solo queste cartoline ufficiali, però, perché dal campo partivano anche lettere clandestine che a volte riuscivano a evitare i controlli, portando notizie assai meno speranzose sul destino dei deportati. In una di queste, Sally Salomon scrive poche, dolorose parole: «È solo la speranza di rivederti che mi dona la forza di vivere e di abbracciarti presto». Le Lettere da Auschwitz ci immergono così nella realtà terribile del campo di concentramento, mostrandoci la vita quotidiana al suo interno, le speranze e le preoccupazioni di chi sapeva che non avrebbe più rivisto la propria casa e i propri cari. Scavando negli archivi inediti del memoriale della Shoah di cui è responsabile, Karen Taïeb alterna cartoline ufficiali e carteggi clandestini, riuscendo a ricostruire tassello dopo tassello la storia personale di ventidue deportati. Questo libro è la storia di ventidue persone, strappata all'oblio dell'Olocausto e riconsegnata finalmente alla nostra Storia e alla nostra memoria.
di Ilaria Pavan
(Il Mulino, 2022)
La persecuzione degli ebrei in Italia è seconda per durata nell'Europa occidentale solo a quella tedesca: anche questo spiega la gravità delle sue conseguenze. Lo Stato fascista applicò con zelo leggi razziali che prevedevano l'esproprio di case, imprese e terreni, la perdita dell'impiego, l'esclusione dalle professioni; poi nei due anni della guerra civile, nazisti e fascisti della Repubblica sociale italiana arrivarono alla confisca e al saccheggio. Ma questa è solo una metà della storia affrontata in queste pagine da Ilaria Pavan; l'altra metà è quella non meno grave di uno Stato repubblicano che ignora o non favorisce il legittimo tentativo degli ebrei sopravvissuti di tornare in possesso di quanto era stato loro sottratto. Una vicenda non ancora del tutto conclusa a quasi ottant'anni dalla fine della guerra.
di Edith Bruck
(La nave di Teseo, 2021)
Per non dimenticare e per non far dimenticare, Edith Bruck, a sessant'anni dal suo primo libro, sorvola sulle ali della memoria eterna i propri passi, scalza e felice con poco come durante l'infanzia, con zoccoli di legno per le quattro stagioni, sul suolo della Polonia di Auschwitz e nella Germania seminata di campi di concentramento. Miracolosamente sopravvissuta con il sostegno della sorella più grande Judit, ricomincia l'odissea. Il tentativo di vivere, ma dove, come, con chi? Dietro di sé vite bruciate, comprese quelle dei genitori, davanti a sé macerie reali ed emotive. Il mondo le appare estraneo, l'accoglienza e l'ascolto pari a zero, e decide di fuggire verso un altrove. Che fare con la propria salvezza? Bruck racconta la sensazione di estraneità rispetto ai suoi stessi familiari che non hanno fatto esperienza del lager, il tentativo di insediarsi in Israele e lì di inventarsi una vita tutta nuova, le fughe, le tournée in giro per l'Europa al seguito di un corpo di ballo composto di esuli, l'approdo in Italia e la direzione di un centro estetico frequentato dalla "Roma bene" degli anni Cinquanta, infine l'incontro fondamentale con il compagno di una vita, il poeta e regista Nelo Risi, un sodalizio artistico e sentimentale che durerà oltre sessant'anni. Fino a giungere all'oggi, a una serie di riflessioni preziosissime sui pericoli dell'attuale ondata xenofoba, e a una spiazzante lettera finale a Dio, in cui Bruck mostra senza reticenze i suoi dubbi, le sue speranze e il suo desiderio ancora intatto di tramandare alle generazioni future un capitolo di storia del Novecento da raccontare ancora e ancora.
di Gherardo Colombo, Liliana Segre
Garzanti, 2021
Liliana Segre ha compiuto da poco otto anni quando, nel 1938, con l'emanazione delle leggi razziali, le viene impedito di tornare in classe: alunni e insegnanti di «razza ebraica» sono espulsi dalle scuole statali, e di lì a poco gli ebrei vengono licenziati dalle amministrazioni pubbliche e dalle banche, non possono sposare «ariani», possedere aziende, scrivere sui giornali e subiscono molte altre odiose limitazioni. È l'inizio della più terribile delle tragedie che culminerà nei campi di sterminio e nelle camere a gas. In questo dialogo, Liliana Segre e Gherardo Colombo ripercorrono quei drammatici momenti personali e collettivi, si interrogano sulla profonda differenza che intercorre fra giustizia e legalità e sottolineano la necessità di non voltare mai lo sguardo davanti alle discriminazioni, per fare in modo che le pagine più oscure della nostra storia non si ripetano mai più.
di Ennio Di Francesco
(Carabba, 2021)
La storia di Palatucci ha segnato fortemente il dibattito su salvatori e salvati, su giusti ed ingiusti [...] e in questo dibattito la storia umana di Giovanni Palatucci ha rischiato di perdersi, di non essere più importante. Ora questo libro la riporta in piena luce. [...] la storia di un individuo giusto, delle sue scelte morali, della sua crescita politica anche, ma individuale. E di questo, di illuminare le coscienze e le vite di quanti hanno saputo fare scelte, abbiamo bisogno. In questo libro, Giovanni appare a tutto tondo, nei due tempi in cui si articola la narrazione, quello di Dachau e della morte imminente, e quello della vita, qui ripercorsa nel ricordo del protagonista dal lager. E poi, perché tutto questo è espresso in una lingua affascinante, fitta di colori, di luci, di illuminazioni. I personaggi non sono descritti, spuntano, si illuminano come se emergessero dallo sfondo sulla ribalta di un palcoscenico. E anche questa scrittura così letteraria, in cui gli sfondi non sono grigi scenari ma paesaggi densi di colori e di luce, contribuisce potentemente a ridar vita dell’ultimo questore di Fiume.
di Daniele Susini
( Donzelli, 2021)
Perché gli ebrei non si sono difesi? Perché non hanno opposto resistenza? Domande come queste sono molto frequenti, in particolare nei ragazzi che si accostano allo studio della Shoah, e l'immagine degli ebrei portati come pecore al macello, vittime inermi della barbarie nazista, è quella prevalente nel senso comune. Come se il popolo ebraico fosse una massa omogenea, un gregge che senza reagire ha soggiaciuto alla violenza del proprio carnefice. L'assoluta necessità di non dimenticare i morti e i campi di sterminio, di fare in modo che la memoria, una volta scomparsi i testimoni diretti, resti sempre viva e vigile, ha fatto sì che le celebrazioni abbiano sempre privilegiato gli esiti dello sterminio senza guardare a cosa fecero gli ebrei in quegli anni in reazione alle politiche liberticide e poi sempre più liquidatorie dei regimi nazista e fascista. Il libro di Daniele Susini abbraccia il punto di vista delle vittime, che prima di diventare tali in molti casi hanno praticato varie strategie di resistenza.
Trilogia del ritorno
di Fred Uhlman
(Salani, 2021)
"Mi sentivo prima tedesco, poi ebreo". In questa frase piena di rimpianto è racchiuso il fascino dei tre romanzi brevi di Fred Uhlman, nati dalla tragedia di chi, disperatamente innamorato della Germania e della sua cultura, nel 1933 se ne vide improvvisamente allontanato in nome di una motivazione aberrante come quella razziale. Nella "Trilogia del ritorno", con una scrittura di grande sobrietà, Fred Uhlman ha dettato la condanna di una delle pagine più agghiaccianti della nostra storia, creando tre gioielli di prosa che si illuminano vicendevolmente e riuscendo a trarre una musica semplice e malinconica dalla tragedia di un'intera civiltà.
di Alberto Cavaglion
(Carocci, 2020)
A differenza di altri autori che si sono cimentati con l'esperienza di Auschwitz, Primo Levi non calca la mano sul ricordo che trionfa sul massacro ma rappresenta gli orrori di cui l'uomo è capace nella prospettiva di un mondo a venire in cui il ricordo degli orrori diventa inutile. Ma Se questo è un uomo è anche diverso dagli altri scritti di Levi. L'anomalia e il suo fascino consistono nell'impossibilità di rinchiuderlo in un genere, essendo diario, saggio di storia, operetta morale. Stupiscono la forma nuova data a riferimenti antichi, inattuali, e la imprevista supremazia dell'umanesimo sulla scienza. Questo doppio effetto di sorpresa spiega perché nel 1947 non fu compreso e perché sia indispensabile, oggi, un'indagine rigorosa sulle fonti.
di Simone Veil
(Guanda, 2020)
Alba a Birkenau raccoglie il risultato dei molti incontri tra il regista David Teboul e Simone Veil, figura dalla quale era affascinato fin dall’adolescenza. In un racconto arricchito da foto suggestive e uniche, Simone Veil parla con schiettezza della sua famiglia, della giovinezza bruscamente interrotta a soli sedici anni a causa delle leggi razziali e della deportazione; rivive la lotta per la sopravvivenza nel campo di concentramento, le continue umiliazioni subite, e la nascita di amicizie che l’accompagneranno per sempre.
di Carlo Spartaco Capogreco
(Einaudi, 2019)
Dal confino di polizia, alla deportazione coloniale, ai campi d'internamento allestiti con l'ingresso nella Seconda guerra mondiale, ai campi di concentramento veri e propri conseguenti all'occupazione della Jugoslavia: questo libro intende dare visibilità a un argomento per molti ancora sconosciuto attraverso una mappatura storico-geografica dei luoghi di segregazione e un inquadramento storico delle diverse forme di internamento praticate nell'Italia di Mussolini.
di Bruno Maida
(Einaudi, 2019)
La storia della persecuzione degli ebrei attuata dal fascismo tra il 1938 e il 1945 ci è ormai ben nota, ma raramente ci si è soffermati a riflettere su cosa abbiano significato quei tragici sette anni per i bambini italiani. Per i bambini «ariani», cresciuti nell'educazione al razzismo e alla guerra, e, soprattutto, per i bambini ebrei, allontanati da scuola, testimoni impotenti della progressiva emarginazione sociale e lavorativa dei genitori, e in moltissimi casi della distruzione e dell'eliminazione fisica della propria famiglia. Da questa prospettiva la storia che abbiamo alle spalle assume nuovi significati e stratificazioni. Il regime fascista iniziò ad attuare la discriminazione proprio dal mondo della scuola, e i bambini ebrei - prima espulsi, poi separati, esclusi e infine internati - furono vittime tra le vittime. Una parte di essi fu poi deportata, gli altri dovettero fuggire e nascondersi per molti mesi. Bruno Maida ne ripercorre la storia attraverso i progressivi stadi della persecuzione, attento a cogliere non solo lo sguardo che l'infanzia ebbe di fronte al turbinio dei fatti, ma la portata politica di una ferita impossibile da sanare.
a cura di Giuseppe Fresolone e Marcello Naimoli
(EDUP, 2017)
Giovanni Palatucci è stato l'ultimo questore di Fiume sotto l'occupazione nazista, il poliziotto italiano morto a Dachau nominato dallo Yad Vashem di Gerusalemme Giusto delle Nazioni nel 1990 per la sua opera di salvataggio degli ebrei. La sua non è stata una vita facile come facile non è stata neanche la sua memoria. Non furono anni tranquilli quelli che passò alla Questura di Fiume, dove approdò nel 1937, alla vigilia delle leggi razziste, responsabile com'era dell'ufficio stranieri, cioè incaricato di regolare a Fiume, l'afflusso degli ebrei stranieri, in fuga, soprattutto a partire dal 1941, dalla Croazia degli ustasa attraverso il confine che divideva la zona di occupazione italiana da Fiume. E non ha avuto neppure una memoria facile perché solo vent'anni dopo il riconoscimento ufficiale, sancito dallo Yad Vashem, del suo ruolo di salvatore degli ebrei, è stato pubblicamente e con clamore attaccato dal Centro Primo Levi di New York come zelante fascista di Salò, persecutore, e non salvatore, di ebrei. Questa raccolta di saggi si inserisce in questo recente dibattito, nell'intento di rafforzare l'immagine positiva del giovane poliziotto attraverso l'esame di nuove fonti e la confutazione di molti degli argomenti dei suoi detrattori ma anche attraverso il ridimensionamento dei non pochi aspetti mitizzati della vicenda, come quello che gli attribuiva il salvataggio di addirittura cinquemila ebrei. Miti che hanno contribuito nel tempo a facilitare l'opera di chi voleva rimettere in discussione tutta la vicenda di Palatucci.
di Alessandro Portelli
(Donzelli, 2019)
Qual è il significato delle Fosse Ardeatine? Quale memoria ha lasciato la strage nazista compiuta a Roma il 24 marzo 1944, come rappresaglia dell'attentato partigiano di via Rasella, in cui il giorno prima erano morti 33 tedeschi? Questo libro, uscito nel 1999 e insignito del Premio Viareggio, è divenuto ormai una pietra miliare della storiografia contemporanea e un punto di riferimento per i tantissimi lettori che continuano ad accostarsi ad esso, spesso in occasione dei ricorrenti quanto accesi dibattiti sulla memoria del fascismo e dell'antifascismo. Protagonista assoluta del libro è la voce diretta dei portatori della memoria: duecento intervistati, di cinque generazioni, e di diversissima estrazione sociale e politica (compresi fascisti ed ex fascisti). L'autore torna a lavorare sul suo saggio bandiera, che ha gettato per la prima volta una luce sulle false notizie circolate in occasione del terribile eccidio delle Fosse Ardeatine. Ad arricchire questa nuova edizione, in occasione dei vent'anni dall'uscita della prima, è un saggio dedicato proprio alla memoria del nazifascismo e al suo rapporto con le più recenti riprese di sussulti fascisti e di letture revisioniste o svalutative della Resistenza. Ancora oggi, in modo singolare, quella tragica strage rappresenta un banco di prova della coscienza delle nuove generazioni. Raccolte da Alessandro Portelli, con uno scrupolo che è pari alla passione civile e alla tensione letteraria, le voci di questo libro danno vita a una ricostruzione di grande respiro corale, che si struttura attorno all'elaborazione e alla codificazione di un linguaggio. Ed è il linguaggio, alla fine, a farsi storia: una storia parlata; parlata a Roma.
a cura di Liliana Picciotto
(Einaudi, 2017)
Gli ebrei sfuggiti alla Shoah in Italia furono piú dell'ottantuno per cento. Questo volume presenta i risultati del progetto «Memoria della salvezza» del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), volto a riflettere su come essi abbiano potuto salvarsi malgrado le ricerche, gli arresti, le deportazioni, da parte delle autorità fasciste e naziste. Al contrario di quanto già descritto da Liliana Picciotto ne Il libro della memoria e in altri studi, si parla qui dunque del «rovescio della medaglia». Nessuno in precedenza si era posto, in modo sistematico e scientifico, la domanda su chi fossero i salvi e come mai si fossero salvati. Si toccano qui temi quali: che cosa sapevano gli ebrei in Italia della Shoah che infuriava già nell'Europa nazista? E che cosa ne sapeva la gente comune? Qual era il rischio per un normale cittadino che desse soccorso agli ebrei? Può questo soccorso definirsi come resistenza civile? C'era differenza tra il soccorso agli ebrei e quello ad altre parti sociali ugualmente bisognose di passare nella clandestinità: renitenti alla leva, soldati dell'esercito alleato evasi, antifascisti? Come il fatto di essere perseguitati per famiglie intere ha influito sulla scelta delle modalità di cercare salvezza?
( UTET, 2006)
La "Storia della Shoah", nata sotto la direzione di un collettivo di studiosi italiani coadiuvati da un comitato scientifico comprendente alcuni tra i maggiori specialisti internazionalmente riconosciuti, analizza il genocidio degli ebrei non soltanto come un evento geograficamente e cronologicamente circoscritto ma, più in generale, come un nodo problematico della storia del Novecento. L'evento, con la sua singolarità e la sua estrema condensazione temporale durante la guerra, è inevitabilmente posto al centro dell'opera, che ne ricostruisce il processo, le strutture, le forme, le tappe e gli attori. Ma la Shoah è studiata anche come un problema storico nel senso più ampio del termine, cercando di sondarne l'impatto sulla cultura del mondo occidentale.
di Enzo Traverso
(Il Mulino, 2004)
Il 27 gennaio 1945 i primi soldati sovietici entrarono ad Auschwitz: oggi quella data, scelta come "giorno della memoria" in Italia, è il simbolo del genocidio ebraico, un evento che s'è installato quale momento-cardine nella coscienza contemporanea. Ma ciò è accaduto lentamente; in realtà il genocidio ebraico è passato pressoché inosservato nella cultura occidentale. Di questo accecamento (di cui, come è mostrato in questo libro, sono emblematiche le "Riflessioni sulla questione ebraica" di Sartre), sono stati gli intellettuali ebrei esuli o reduci dai campi a "pensare ad Auschwitz" per primi.
di Léon Poliakov
(Einaudi, 2003)
Quest’opera, divenuta ormai un classico, affronta le pagine più buie della storia recente: sulla base di una vastissima documentazione Léon Poliakov ha ricostruito le fasi della persecuzione antisemita, dall’avvento al potere del nazismo alla fine del 1945, mettendo in risalto come lo sterminio degli Ebrei rientrasse nel più vasto piano d’eliminazione di altri popoli e illustrando, oltre agli episodi della resistenza ebraica, le reazioni popolari nei vari paesi europei, l’atteggiamento degli uomini di governo e delle chiese cristiane. Poliakov esamina i fini perseguiti dai capi nazisti attraverso la loro mostruosa «operazione», i modi con cui scientificamente organizzarono la «soluzione finale» della questione ebraica, l’apparato burocratico di cui si servirono per raccogliere e far scomparire milioni di vittime.
Tale esame dimostra come la responsabilità di questi crimini ricada non solo sugli esecutori specializzati, le SS, ma anche, sia pure indirettamente, sull’esercito tedesco, sulle classi dirigenti, su gran parte della popolazione. E tuttavia lo spirito serenamente equo dell’autore, la sua sobrietà d’intonazione, il suo costante impegno critico consentono al lettore di approfondire un argomento che non cessa di inquietare le coscienze dei contemporanei.
di Antonietta Favati
(Mephite, 2002)
Antonietta Favati ricostruisce con accuratezza, utilizzando al meglio la preziosa anche se non ricca ed esaustiva documentazione superstite, le vicende del campo di internamento femminile di Solofra dalla sua istituzione nel luglio 1940 alla sua chiusura nell’autunno del 1943. L’Autrice delinea le strutture, il personale, la conduzione del campo d’internamento di via della Misericordia e le condizioni di vita materiale delle sue ospiti, soffermandosi inoltre sull’interessante rapporto - notevolmente libero ed aperto - stabilito da queste con la società della Solofra del tempo. È qui che inquadra le vicende del campo in quelle più generali dell’Irpinia al tramonto del fascismo e della Solofra al tempo di guerra.
di Klaus Voigt
(La nuova Italia, 2002)
L’avventurosa storia di un gruppo di giovani ebrei, scampati alle persecuzioni naziste e fuggiti – fra il 1940 e il ’45 – attraverso la Jugoslavia, l’Italia, la Svizzera, fino alla salvezza in Palestina, diventa occasione , nelle pagine di questo libro, per raccontare una straordinaria vicenda di solidarietà, testimonianza di un legame ancora vivo tra i protagonisti di quegli avvenimenti e la popolazione di una piccola cittadina italiana.
Giunti in Italia a partire dal luglio 1942, 73 ragazzi furono ospitati per un anno a Nonantola (Modena), presso Villa Emma, per iniziativa della Delasem, l’organizzazione assistenziale degli ebrei italiani. Benché i contatti con la popolazione locale fossero ostacolati dalla questura, nacquero forti amicizie e solidi legami e quando, nel settembre 1943, le truppe tedesche occuparono la zona, giovani e bambini vennero nascosti, nel giro di 48 ore, nel seminario dell’abbazia, in un convento di suore e presso le famiglie del luogo. Scampati, poterono fuggire in Svizzera e nel maggio 1945 gran parte di loro raggiunse la Palestina.
di Gianluca Petroni
(Comitato "Giovanni Palatucci", 2001)
Il volume tratteggia le vicissitudini degli ebrei che, dal giugno 1940 al settembre 1943, in seguito alle leggi razziali fasciste, furono internati a Campagna, un paese dell’entroterra salernitano che, secondo le autorità competenti, offriva condizioni ideali per l’internamento; nel primo periodo furono addirittura due campi di concentramento funzionanti nel piccolo centro.
(Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, 1999)
Non ci sono parole da anteporre a questo libro. Esso parla da solo, attraverso i disegni e le poesie la sciati dalle piccole vittime della più incredibile barbarie che mai l’uomo aveva conosciuto nella sua millenaria storia, piena di guerre, di massacri, di violenza sugli innocenti.
di Primo Levi
a cura di Marco Belpoliti
(Einaudi, 1997)
I due volumi delle Opere di primo Levi (1919-1987) raccolgono in ordine cronologico l’intera opera edita dello scrittore torinese e offrono un’ampia scelta degli scritti sparsi (saggi, articoli, recensioni, interventi, risposte a questionari, ecc.) usciti in giornali, riviste e libri oggi perlopiù introvabili. Il lettore ha ora a disposizione un ritratto letterario a tutto tondo di Levi, la cui opera non è più ripartita fra scritti testimoniali e opere narrative, fra testi saggistici e poesia, ma viene riunita in un unico corpus. Questo permette di cogliere la complessità del percorso di Levi e le connessioni che legano tutte le sue scritture.
Nelle Note ai testi Marco Belpoliti ricostruisce la storia dei singoli libri, il momento e il luogo in cui sono stati pensati e scritti. Ne risulta la trama di una possibile biografia letteraria, ricca di riferimenti e informazioni inedite. La presente edizione è completata da una Cronologia della vita e delle opere a cura di Ernesto Ferrero e da una bibliografia degli scritti e delle interviste di Levi.
di Settimia Spizzichino, Isa di Nepi Olper
(Comune di Cava de’ Tirreni, 1996)
La sera del 16 ottobre del 1943, il colossale rastrellamento delle SS si era concluso con un bilancio tragico: 1022 ebrei romani erano stati catturati, la maggior parte prelevati nel vecchio quartiere del Portico d’Ottavia, l’antico “ghetto”, che mai, nemmeno nei secoli più bui, era stato testimone di tanta spietatezza. Ammassati per due giorni al Collegio militare, i 1022 infelici, il terzo giorno, furono caricati su 18 carri di bestiame alla stazione tiburtina e, dopo un allucinante viaggio di 5 giorni, approdarono a d Auschwitz-Birkenau, il più grande e il più distruttivo dei lager nazisti in terra polacca. Dei 1022 razziati del 16 ottobre, sono tornati alla fine della II Guerra Mondiale sedici uomini e una sola donna: nessuno degli oltre duecento bambini, molti dei quali ancora lattanti.
La donna superstite si chiamava Settimia Spizzichino.
di Otto Friedrich
(Baldini&Castoldi, 1994)
Il resoconto della costruzione, dell'espansione e della vita del più tristemente celebre campo di sterminio. L'autore raccoglie e organizza le testimonianze dei sopravvissuti e dei carnefici, mettendo in luce la logica terrificante della Soluzione Finale, la vita quotidiana del campo, gli eroismi e le nefandezze di perseguitati e persecutori.
di Simon Wiesenthal
(CDE, 1990)
La lunga caccia ai criminali nazisti e a tutti i responsabili degli eccidi nei campi di sterminio nel racconto dell'uomo che ha dedicato la sua intera esistenza al tentativo di veder fatta giustizia per i milioni di vittime dell'Olocausto. Il bilancio di una vita spesa a lottare "perché il mondo non dimentichi".